Bollicine Novembre – Dicembre 2018

Le cose cambiano. Per tanti anni mi sono guardato dal comprare “Il Foglio” perché lo ritenevo un giornale di destra e non mi piaceva il suo direttore Ferrara per le sue posizioni politiche e soprattutto per la sua simpatia per Strauss, i neocons statunitensi, papa Ratzinger e l’estremismo israeliano. Ora debbo ammettere che, sarà pure di destra, ma che è il più intelligente  e informato giornale italiano, soprattutto il suo numero del sabato.

Visto “Il verdetto” per la regia di R. Eyre e con una strepitosa recitazione di Emma Thompson. E’ tratto da un romanzo di McEwan. I romanzi di McEwan non mi sono mai piaciuti. Ma, sarà che le cose cambiano, sarà che il regista ha cambiato qualcosa del romanzo, a me il film è piaciuto. Mi ha colpito il suo riproporre quel tema cruciale dello smarrimento improvviso che può cogliere talora l’individuo per l’intuizione di una bellezza possibile che lo porta a spostare il suo cuore più in là di dove era e lo espone al rischio di un troppo grande dolore, o del gelo del cuore, dovuti alla perdita di quella bellezza sotto il peso, difficile dire quanto eludibile, di un principio di realtà. Un tema presente anche in altri film, per esempio in Un affare di famiglia cui ho già dedicato una bollicina. Un tema sul quale mi sono azzardato a dire qualcosa anche io, per esempio in una relazione sulla paura dei sogni che ho tenuto a Firenze o nell’articolo su Freud e Rilke apparso nell’ultimo numero di Psicoterapia e Scienze Umane. Tutte testimonianze della resilienza, nello squallore che ci circonda, dell’esigenza di bellezza.

Il film di Sorrentino La grande bellezza riesce invece a rendere squallida anche la bellezza.

Sigfrido di fronte a Brunilde. Breuer di fronte a Anna O. Lo sconvolgimento di fronte alla bellezza. Lo sconvolgimento di fronte all’isteria. L’isteria è una bellezza senza armonia?

Letto il nuovo libro di Carlo Ginzburg Nondimanco. Machiavelli, Pascal. Tanta intelligenza, tanto studio, tanta competenza, ma …. tanto Ginzburg e poco, pochissimo Machiavelli.

Sapiente ed originale, come egli sa essere, Ginzburg, nel segnalare e documentare la conoscenza e la dipendenza della logica di Machiavelli dalla casistica medioevale. Però, a parte il fatto che quella dipendenza può al più valere per i capitoli de Il principe sulle qualità del principe, sembra lecito sospettare che quella sapienza ed originalità sottendano l’adesione all’intenzione dell’ideologia freudiana di spegnere il nuovo nel passato.

Brillante, come egli  sa essere, Ginzburg nello stabilire un nesso tra Machiavelli e Pascal. Ma ho avuto la sensazione vi si celi qualcosa di losco. Avrei voluto approfondire, ma poi me ne è passata la voglia. Forse lo farò.

Letto qualche tempo fa un romanzo di Stef Penney, La tenerezza dei lupi. A lettura finita stabilisco che non è gran che come romanzo se non in quanto permette di toccare con mano una confusione di idee oggi piuttosto comune. Mi sorprende però il titolo. Nel libro non compaiono, se non del tutto occasionalmente, lupi; né tantomeno vi si parla di una loro tenerezza. Allora il titolo vuole dire che la tenerezza dei lupi non esiste? Che i lupi non hanno tenerezza? Che, se mostrano di averla, è solo per ingannare e meglio azzannare? Così come la tenerezza del ragazzo omosessuale protagonista del romanzo nei confronti del suo partner sta lì a nascondere la pulsione, che poi si realizzerà, ad ucciderlo.

Il bambino che aspetta con curiosità e desiderio il nuovo della nascita di una sorellina, e che può, una volta questa nata, fantasticare di volerla eliminare perché turba i suoi equilibri e intacca i suoi privilegi, non è che non continui ad essere il bambino che attende con curiosità e desiderio la nascita di una sorellina; non è che non continui a portare con se nella vita quella curiosità e quel desiderio. Forse li ha soltanto dimenticati. Deve solo stare attento a non ripetere che, una volta che la vita gli riproponga un nuovo che glieli faccia ricordare, non ripeta quella fantasticheria; ed ancor più, essendo ormai cresciuto e potendo, non la agisca senza saperlo.

Odi et amo. Quam id faciam, fortasse requiris./ Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Forse è perché ogni amore, se si intende per tale il sorgere in occasione di un incontro di un sentire che ti impone di renderti diverso da quello che sei, può di per se stesso, comprendere l’odio o trasformarsi in esso.

Gli uomini bianchi dalla lingua biforcuta esistono e le donne Indiane sono da sempre tentate di vendicarsi di loro travolgendoli con il prostituirsi al loro potere.

Dopo una separazione può accadere che tu voglia che il senso di perdita perduri per la paura che, perdendo quel senso di perdita, quanto è stato e non è più si perda del tutto nel nulla, diventi nulla, svanisca nell’immenso infinto come lo sfortunato astronauta di Odissea nello spazio.

Difficile sognare senza qualcuno che ti faccia sognare.

I mistici come Santa Teresa pretendono di sognare senza qualcuno che li faccia sognare, ovvero con qualcuno che si inventano loro soddisfacendo così la propria onnipotenza.

Difficile distinguere il sogno da chi ti fa sognare.

Non distinguere tra il sogno  da chi ti fa sognare può portare alla pazzia come nel caso di Aby Warburg e del protagonista de La migliore offerta.

Anche il sogno va trasformato in sogno.

Un sogno che lega un banale momento attuale in cui ho dato prova di sentimentalismo a un altrettanto banale momento passato in cui ho dato prova di moralismo mi fa capire che sentimentalismo e moralismo sono due volti di una stessa medaglia. Forse la cosa è ovvia. Meno ovvio che me la abbia detta un sogno.

Un episodio banale cui però corrispondono altri che non lo sono. E’ sabato 8 dicembre. Come d’abitudine al mattino vado al bar. Avviandomi avevo visto chiuso il giornalaio; e così accade che  mi sembri chiuso anche il bar e subito si affacci l’ansia. Però poi comprendo che questo spostamento è sostenuto dall’essersi affacciato, alla vista del giornalaio chiuso, un vuoto. E’ quel vuoto, non che il bar sia chiuso, a darmi ansia.

Che differenza c’è tra il vuoto e il nulla? Sembrerebbe che parlare di nulla significhi negare il vuoto perché il nulla è qualcosa, mentre il vuoto è nulla.

Esistono il tempo del sogno e il tempo degli orologi; ma il tempo del sogno è fatto di istanti di quell’altro tempo.

Ogni vita è un incompiuto.

Quel poco che si può fare. Una iniziativa per candidare il comune di Riace al Nobel 2019 per la pace. Io aderisco. Chi voglia, troverà il modo di farlo a questo indirizzo.

Bollicine Aprile – Ottobre 2018

Letto l’ultimo libro di Irvin Yalom, Diventare se stessi. Letta anche la succinta, ma chiara ed esauriente recensione che ne fa Silvia Marchesini su Psicoterapia e Scienze Umane (2018, 3 pp. 486-487). La Marchesini riconosce all’Autore il merito di proporre, in uno stile di scrittura informale che cattura l’attenzione, una profonda riflessione sul proprio passato di psicoterapeuta e sulla propria storia intellettuale; e di fare così incontrare il lettore, nel corso di tale riflessione, con figure e problematiche significative della recente storia della psicoterapia. Ella coglie poi l’aspetto più originale del libro nel suo essere un’applicazione, al di fuori della stanza dell’analisi, del metodo oggi in voga della self-disclosure. La Marchesini non manca però di mettere in luce alcune perplessità che il libro suscita. In particolare, un’insufficiente riflessione sulle implicazioni teoriche di tale metodo e una adesione fideistica al credo esistenzialista cui l’Autore era stato introdotto da Rollo May. Forse andrebbe aggiunto solo che per tutto il libro si respira un’aria buonista un po’ dolciastra; che passa il messaggio per cui in psicoterapia tutto può andare bene anche l’uso delle droghe; e soprattutto che l’accento posto, in conformità al suddetto credo esistenzialista, sul tema della paura della morte reale non si accompagna per nulla con una riflessione sul tema della paura della morte psichica, del gelo del cuore.

Le ragioni del cuore e le ragioni di una legge senza cuore.

Un tema presente nel film Un affare di famiglia del regista giapponese Kore’eda Hirozaku. Il contrasto tra il sogno e la realtà, tra l’invenzione, fondata sulla affettività, di una forma di vita e i guardiani di una forma di vita robotizzata. Significativo, l’episodio della psicologa che non capisce nulla, o meglio agisce come un robot per riportare tutto entro le forme codificate di una legge senza cuore: intende la ricchezza del vissuto della protagonista nell’adottare la bambina che viveva in un rapporto senza affetti come reazione malata di una donna che non ha avuto figli e che, invidiosa di chi li ha, li rapisce loro. Struggente l’immagine finale della bambina che, riportata da quei guardiani in quel rapporto senza affetti, dal quale era per un momento uscita, attende, con poca o nessuna speranza, che giunga qualcuno a trarla nuovamente via.

Un tema presente nel film Corpo e anima del regista ungherese Ildikò Enyedi. Anche lì una psicologa che può dirsi fisicamente bella, ma senza cuore, non riesce neppure a concepire che il rapporto tra i due protagonisti si fondi sull’incontrarsi dei loro sogni. In ciò che anima un rapporto, sa scorgere solo la patologia. Il suo compito è quello di riportarlo alla patologia.

Un tema presente nelle opere dello scrittore americano John Williams che ho scoperto e letto in questi giorni. Nulla, solo la notte, Stoner, Augustus, Butcher cross. Il nulla del primo romanzo si anima via via in Stoner nella descrizione del dramma di un uomo che riesce per un momento a vivere nel tempo del sogno uscendo da un rapporto matrimoniale e istituzionale senza sogni, rapporto che poi gli sottrarrà il tempo del sogno; si anima nel racconto della vita di Augusto e nella sua amara consapevolezza di quanto aveva perduto nell’essere stato obbligato dalle circostanze della vita e della storia alla inutile difesa di una legge senza cuore. Stupende per la loro intensità le ultime pagine del libro nelle quali Augusto, poco prima di morire, fa il bilancio della sua vita.

Un tema presente nel passato. Anche Anna Karenina e le donne dei romanzi di Stehdhal volevano uscire a vedere il sole. Finirono male. Però eravamo nell’Ottocento. Non esisteva la legge sul divorzio che i nuovi barbari cercano ora di abolire cominciando da Verona.

Un tema presente nell’attualità politica italiana. Ho pensato che nella vicenda del sindaco di Riace si riproponga il dramma che, nell’ Antigone di Sofocle, oppone le ragioni del cuore a quelle di una legge senza cuore. Dopo che avevo pensato questo, sono capitato su un elzeviro di Mattia Feltri su La Stampa di Giovedì 4 ottobre intitolato “L’errore di Antigone”. L’errore di Antigone sarebbe lo stesso del sindaco di Riace: quello di rovesciare la legge in nome di un obbligo morale e di decretare la morte dello Stato come garante dell’esistenza e durata di una collettività. Le stesse motivazioni del proprio operare che, nella tragedia sofoclea, Creonte opponeva ad Antigone. Impropria e fuorviante l’analogia che l’articolista propone tra il rovesciamento della legge da parte di Antigone e quello da parte di Salvini perché questi non agisce in nome delle ragioni del cuore.

Un tema presente nell’attualità di vite. Una donna sogna di vivere chiusa e senza speranza nella sua attuale realtà come in una stanza senza finestre e di uscirne un istante per parlare in sogno con qualcuno che le rappresenta la sua speranza. Ma il sogno non dice se ella rientrerà, come reinfetandovisi, in quella stanza, o se seguirà non necessariamente quel qualcuno, ma la sua speranza. Lo dirà la sua vita.

Riscoperto e riletto in questi giorni Bion, in particolare Attenzione e interpretazione che io stesso cinquanta anni fa avevo tradotto senza capirci nulla, ma, mi sembra, bene – come abbia potuto, se non ci avevo capito nulla, è un mistero. La ricchezza e la profondità di un pensiero che ha il solo limite di rendersi talora incomprensibile perché confina nella trascendenza l’oggetto del desiderio e il fondamento dell’essere che lui, non a caso prendendo a prestito da Kant, chiama “cosa in sé”. Ma di questo forse un’altra volta. Quello che voglio dire ora è che gran parte di quanto sta in queste ultime bollicine può rientrare nella sua riflessione sul rapporto tra il mistico e il gruppo e trovarvi una formulazione in termini teorici. Ma anche di questo forse un’altra volta.

Per poter vivere un breve momento nel tempo del sogno bisogna sapere correre il rischio di vivere poi un lungo momento di dolore. Uno psicanalista francese (Benoit Verdon, “Tuer le temp long”, nella Revue française de psychoanalyse 2017/4, p. 1018) dice la stessa cosa, ma in una sequenza contraria:  «(…) senza solitudine, senza affrontare la prova del tempo, senza patire nel silenzio, senza avvertire tutta l’eccitazione del corpo e contenerla per un tempo, senza vacillare nella paura, senza attraversare errando una zona d’ombra e di invisibile, senza il ricordo della propria istintualità, senza malinconia, senza abbandonarsi alla malinconia, non c’è gioia».

Chi rende di pietra il proprio cuore può trovare un alibi nel sentimentalismo.

L’oggetto ultimo e costante del desiderio è la nascita intesa come ogni momento in cui si esce da una forma di vita non più attuale. Un pensiero che ho svolto nello scritto “Ancora su desiderio e cultura”, in Psichiatria e psicoterapia culturale 2017/1 (accessibile in questo sito alla voce “articoli”)

La paura della castrazione riguarda al pari uomo e donna. Non è altro, per modo di dire, che il terrore di non riuscire mai a vedere il sole, di essere sepolti vivi.

La donna deve essere apparsa prima dell’uomo, altrimenti come potrebbe l’uomo riconoscere la donna?

Bollicine Gennaio-Marzo 2018

Foglie cadute … raccogliere qualcosa, come talora si fa con le foglie cadute.

Viviamo in tre mondi: pubblico, privato e intimo. Forse in quattro, perché c’è anche la storia.

La profondità della psiche è il rovescio di quella del cielo, guardare nella profondità di un sogno è come guardare nell’altezza del cielo. I suoi significati  sono molti più di quelli che vediamo,  proprio come le stelle del cielo sono molte più di quelle che vediamo.

Sotto il Nazismo solo nei sogni era possibile esprime il dissenso, le ragioni del dissenso, in termini di rappresentazione delle conseguenze del Nazismo.

Il fatto di trascorrere al mattino anche solo qualche momento nel tentativo di ricordare i sogni, ed eventualmente poi quello di comprenderli, è un po’ come continuare a sognare.

La giusta enfasi che alcuni psicoanalisti pongono sul rapporto come fattore di per sé terapeutico decade talora nel loro esprimere nel rapporto nulla più che una lacrimosa empatia …

Bisogna distinguere tra normalità e sanità. Si può essere normali senza essere sani.

L’analista esperto riesce a trasferirsi nell’ora della seduta in una dimensione diversa da quella in cui sta fuori da quell’ora. In fondo, la tecnica si risolve tutta nell’avere appreso a fare questo indescrivibile movimento. Descrivere questo movimento, forse meglio dire questo atto, presenta la stessa difficoltà che presenta descrivere l’atto che consente di passare dallo stare con i piedi per terra a trovasi in equilibrio su una bicicletta.

Inconscio è anche l’ovvio. Ciò che è più ovvio è inconscio. La psicoanalisi ha nascosto il fatto che l’inconscio è l’ovvio facendo credere che è ciò che è nascosto.

La scena primaria, da privata che era, è divenuta pubblica perché viene continuamente riproposta nel cinema e nella televisione.

… la giovane analista lacaniana pronuncia la parola “godimento” facendosela  risuonare in gola e sembra godere tutte le volte che la pronuncia.

… l’analista che ha preso in cura due anni fa la donna che ha abbandonato il fidanzato prima delle nozze si trova, dopo due anni, a dover decidere se abbandonare quella donna prima che inizi l’analisi ….

… isteria, ma forse qualcosa di più ….. lo fa alzare esponendo una disarmata dolcezza e subito dopo lo taglia di netto con un gesto improvviso e inatteso …. poi si pente e si dà nella vita la missione di riparare al malfatto  … si ritiene in grado di poter lei sola realizzare il miracolo della resurrezione.

… l’indifferente e il geloso. Una bella coppia, due volti di una stessa medaglia.

Essere creativi non significa altro che essere artefici di un qualsiasi passaggio dal non essere all’essere. Il discorso di Marx sull’artigiano.

Che rapporto c’è tra produttività e creatività?

Che rapporto c’è tra la capacità di recepire la bellezza e la capacità di accedere al segreto della generazione, ovvero della creatività, non della procreazione?

A proposito di segreto della generazione, è stupefacente che, se si chiede quanti alberi sorgevano nel paradiso terrestre secondo le sacre scritture, la risposta è pressoché sempre che ve ne sorgeva uno, l’albero del bene e del male. Eppure nella Genesi è detto a chiare lettere che ve ne sorgevano due, l’albero del bene e del male e l’albero della vita che racchiudeva il segreto della generazione; e che Adamo ed Eva non furono cacciati dal paradiso terrestre, e destinati a procreare nella sofferenza, perché avevano colto il frutto del primo albero, ma perché non cogliessero poi quello del secondo desacralizzando la creatività.

Ancora più stupefacente che, qualche giorno fa, l’attuale pontefice abbia voluto smentire quella che egli stesso ha definito una fake news; abbia cioè asserito che la prima fake news è quella che fu utilizzata dal serpente astuto per convincere Eva a cogliere il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male e a commettere il peccato che avrebbe portato alla cacciata di lei e di Adamo dal paradiso terrestre. Ancora più stupefacente, perché non possiamo pensare che il pontefice non abbia letto la Genesi.

Letto il libro di Paolo Malaguti, “Prima dell’alba”, sulla guerra del 15/18 e in particolare sullo sbandamento dell’esercito italiano a Caporetto. La realtà di orrori sepolta per un secolo sotto la retorica e sotto il peso della candida torta nuziale di Piazza Venezia. L’orrore della guerra. L’orrore del disprezzo  disumano degli ufficiali colti verso la truppa contadina analfabeta. L’orrore del pregiudizio che portava tanti di quegli ufficiali a ritenere di avere di fronte non uomini, ma animali da usare. L’orrore delle arbitrarie fucilazioni e delle decimazioni. Cose che non sapevo o sapevo poco; e comunque anche in me predominava l’immagine della guerra trasmessa da quella retorica. Dunque un grande libro. Grande perché è un racconto che ripropone una realtà sepolta sotto un altro racconto, rompe l’incantamento di un altro racconto.

Letto, e da leggere, anche il libro di Cosentino-Doaro-Panella, “I fantasmi dell’Impero”, sui crimini commessi dalle truppe d‘occupazione italiane, e in particolare dal generale Graziani, nella guerra d’Etiopia.

La barbara violenza della civiltà dei lumi …

Machiavelli sosteneva che il popolo è buono. Se è così, allora  è una certa cultura che è malata ed infetta il popolo rendendolo cattivo.

C’è un pregiudizio per il quale essere buoni significa essere sciocchi.

Il problema non è il popolo, ma i populisti. Il popolo non è populista ….

La crisi del modello Destra/Sinistra può essere equiparata alla rottura di un dubbio ossessivo? Ha un equivalente nella rottura del dubbio ossessivo amore/morte?

La trascendenza equivale al pregiudizio. Il trascendente, inteso come ciò che non sta nell’esperienza, non è qualcosa di “trascendentale”. E’ presente in ciascuno di noi perché equivale ai nostri pregiudizi.

Anche i  simboli sono pregiudizi.

A proposito dei fraintendimenti cui va incontro “Il trauma dimenticato”. In un certo senso hanno ragione quanti scorgono un’assonanza tra il trauma dimenticato e il trauma della prima teoria freudiana del trauma o il trauma di cui parla Ferenczi. L’assonanza consiste nel fatto che anche il trauma dimenticato è indotto da un evento reale; resta che tale evento non provoca la ferita che provoca  invece il trauma della prima teoria del trauma o quello di cui parla Ferenczi.

A quelli che ti chiedono cosa sia la bellezza, dato che essa sta al di là delle parole ed è casomai la fonte delle parole che hanno senso, non puoi rispondere con le parole, ma questo non significa che essa non esista e che tu non possa rispondere …. Rispondere con parole che non dicono della bellezza, ma sono atti in quanto spingono chi ti fa la domanda verso una dimensione diversa da quella di quella ricerca di sapienza in cui egli sta quando ti fa la domanda ed entrando nella quale può forse incontrare da se stesso la risposta e non avere alcuna voglia e possibilità di dire che cosa ha trovato, cioè di rispondere a chi faccia a lui quella stessa domanda.

Ho bisogno dell’altro per essere me stesso. Posso essere certo di esistere perché mi trovo in un mondo in cui ci sono altri che possono essere certi di esistere perché ci sono io. In un mondo in cui non incontrassi alcuno non poteri dire di esistere.